Percorso artistico-creativo della sezione “ritratti” della mostra Il Nuovo nuovo mondo- non sono clandestino.
A cura di Sabrina Guzzoletti
Nel calendario in occasione delle celebrazioni per il 500° anniversario della morte di AMERIGO VESPUCCI, oltre agli eventi proposti dal Comune, in accordo con Istituti e Musei, verrà proposta una mostra multimediale, Il Nuovo Nuovo Mondo, – Non sono clandestino, prevista il 5,6,7 giugno in Sala d’Arme a Palazzo Vecchio.
La mostra nasce in collaborazione con numerose Associazioni e individui stranieri e italiani per dare luce sulle ricchezze che nascono dallo scambio culturale tra fiorentini e immigrati. Una sezione della mostra inserisce, partendo da una serie di ritratti famosi custoditi nei musei fiorentini, attraverso un impatto visivo forte, persone di diverse culture nell’iconografia conosciuta della ritrattistica rinascimentale. Personaggi di vitale importanza per la storia fiorentina, vengono raffigurati fotograficamente mantenendo invariata l’iconografia classica del dipinto originale mentre il soggetto fotografato verrà scelto per la sua differenza etnica e per il suo contributo alla Firenze moderna
L’avventura parte diversi mesi fa. Costumisti, truccatori, esperti della storia del costume, scenografi hanno lavorato instancabilmente per riprodurre i costumi dell’epoca, le acconciature e gli sfondi dei dipinti originali.
I 10 quadri di riferimento, individuati tra oltre 100 ritratti famosi, sono stati scelti applicando i seguenti criteri: il periodo storico del tardo rinascimento, epoca di Amerigo Vespucci (massima fioritura dell’umanesimo a Firenze); i ritratti dovevano provenire da collezioni pubbliche fiorentine (Galleria degli Uffizi, Galleria Palatina, Palazzo Vecchio, Museo di san Marco); i personaggi dei dipinti , i pittori o i committenti dovevano avere un ruolo importante per la storia della città.
A questa fase è seguita poi la documentazione “storica” attraverso lo studio del periodo e della modellistica del tempo, ricorrendo a testi specializzati di storia del costume( C. Kohler, A History of costume
J.Arnold, Patterns of fashion, Vercellio’s Renaissance costume book;, ed un’ulteriore ricerca iconografica di ritratti dell’epoca (per avere una documentazione della “moda” dell’epoca, dei colori e materiali in uso, per i confronti stilistici).
Intanto diamo dei nomi a chi, mosso da entusiasmo per questo progetto, ha lavorato per la realizzazione degli abiti: la prima è indubbiamente Diana Ferri, giovane costumista, ha al suo attivo collaborazioni con la Fondazione del Teatro Comunale di Bologna, il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, l’Opera festival di Fiesole, oltre che la partecipazione come assistente costumista a diverse produzioni cinematografiche.
Intervistata da noi Diana ci ha raccontato di come sia giunta a realizzare gli abiti del Rinascimento e di quali siano state le maggiori difficoltà incontrate.
Le stoffe, i broccati, i tessuti damascati sono stati studiati nei minimi particolari e riprodotti nel suo laboratorio, confrontando i punti di colore, ridisegnando con precisione millimetrica motivi floreali, una volta ottenuti con intere giornate di lavoro sui prototipi arrivando a studiare e provare le pieghe dei copricapo come il “marzocchio” e di altri accessori come il farsetto, la giornea, il giuppone e la gorgiera.
Ha ottenuto tutto attingendo dal suo enorme e fornitissimo “archivio di stoffe e ritagli” che Diana negli anni ha creato, grazie alla sua attività di costumista e da lì sono nati le berrette alla capitanesca, le maniche plissé chiamate “lattughe” della Dama del Petrarchino di A. Del Sarto, la camora di tessuto nero di Elisabetta Gonzaga, ritratta da Raffaello Sanzio.
“Data l’impossibilità di avere una scheda misure dei modelli, ho lavorato solo tramite delle fotografie dei modelli – racconta Diana – cercando di trarre da quelle la taglia e la corporatura. Il passo successivo era quello di trasformare il manichino nella taglia che mi serviva, e poi, tramite il metodo del drapping (drappeggio sul manichino) creare il capo di abbigliamento, usando la modellistica del periodo abbinata alle esigenze della nostra epoca ( diversa corporatura, diverse altezze e composizioni dei tessuti) spesso servendomi di sottostrutture e posticci per ricreare una corporatura molto diversa dalla nostra. Spesso non ho ricreato tutto l’abito ma, data la posizione dei ritratti quasi sempre a mezzobusto, ho ricreato solo la parte superiore. Dopo aver terminato il prototipo con le misure giuste, ho tagliato e confezionato il costume con il tessuto definitivo, spesso velluto o raso, creando anche i gioielli e gli accessori più simili possibili all’originale.”
Diana più andava avanti con la realizzazione dei costumi, più si appassionava, fino a sentirsi “legata” anche affettivamente a questi personaggi che ha studiato e osservato per mesi. Alcuni, in modo particolare, sono stati quelli che più l’hanno incuriosita; la stessa Elisabetta Gonzaga ha richiesto uno studio che è andato oltre la semplice ricostruzione dell’abito; pare infatti che questo ritratto sia carico di simboli, espressi anche attraverso i gioielli indossati dalla Dama (lo scorpione sulla fronte e le collane sistemate in modo geometrico sul collo) e l’abito scuro, sul cui scollo pare ci sia un’iscrizione nei caratteri di un alfabeto mai decifrato dagli storici dell’arte.
“Allargando le ricerche ho provato a comparare la presunta scritta all’alfabeto ebraico, fenicio, aramaico, senza trovare riscontri. La mia ipotesi è che si tratti comunque di un messaggio cifrato contenente un motto, come in uso nelle corti influenzate dalle teorie neoplatoniche. Forse di tratta del “linguaggio degli angeli”, ma naturalmente è solo un’ipotesi.”
Altro personaggio impegnativo è stato quello di Laura Battiferri ritratta dal Bronzino con i suoi toulles preziosi e trasparenti, le doppie maniche con quattro file di arricciature che lasciano intravedere il tessuto sottostante e che, ci spiega l’esperta costumista: “Sono dei veri capolavori di sartoria”.
Ma accanto a Diana hanno collaborato altri professionisti della scena: Paolo Manciocchi, stylist, truccatore e acconciatore che è riuscito a trasformare in poche ore i capelli indomabili del rapper André nel caschetto liscio di Lorenzo dei Medici e che ha pazientemente acconciato tutte le Dame, arricchendone le chiome con perle e posticci e ricreando il pallore e il maquillage di quei secoli; Giada di Giannantonio, studentessa di Costume presso l’Accademia di Belle Arti, che ha assistito Diana nella realizzazione dei costumi più complessi; Isabella Bartoli ha realizzato le scenografie dei dipinti e ha ricreato i fondali su grandi tele utilizzate poi durante le pose fotografiche.
Insomma un grande lavoro di squadra, di giovani professionisti, che hanno creduto in un’iniziativa il cui scopo è di cambiare il modo di pensare e di percepire l’extracomunitario, per contribuire ad arginare l’intolleranza razziale che viene alimentata purtroppo anche dall’attuale crisi economica.
Ognuno di loro ha contribuito al progetto senza retribuzione, perchè crede nel valore umano e culturale della mostra.