Vicino al Diverso: lo Straniero nell’arte
a cura di Teresa Francesca Giffone
Il mondo dell’arte ha ormai sorpassato il problema della nazionalità e dell’appartenenza ad una cultura specifica. Questo lo conferma anche Bice Curiger, curatrice della Biennale di Venezia attualmente in corso, in una recente intervista la studiosa afferma che: “il concetto di nazione non evoca soltanto chiusura e confine ma anche utopia, apertura e ideali molto diversi dal nazionalismo che è stato il disastro del Novecento”, dice anche “ anche gli artisti sono per lo più migranti”.
Tra le molteplici forme d’arte quella maggiormente incisiva a denunciare i cambiamenti in atto nella nostra società è la fotografia che sin dalla sua invenzione racconta senza filtri la realtà intorno a noi. Sempre più spesso anche l’arte figurativa affronta il tema in questione, ma lo straniero non proviene necessariamente da posti lontani; sono sempre più le persone che, pur vivendo le nostre stesse città, sono vicine fisicamente ma totalmente lontane sotto tutti gli altri punti di vista. L’individuo viene gettato in pasto ad un mondo spesso chiuso e distante.
Se dovessimo pensare all’Italia dovremmo vedere la penisola come un grande calderone in cui si sono mescolate molte civiltà straniere che hanno poi concorso a creare noi italiani. Le civiltà classiche, barbariche, seguite da fasi di calma che sono state il preludio per nuove conquiste ed hanno infuso in noi tradizioni, caratteristiche, anche fisiche, che permangono tuttora.
Il diverso però nell’arte crea curiosità e anche quando ci si poteva avvalere solo del mezzo pittorico i pennelli hanno soddisfatto curiosità verso il diverso rendendolo fruibile a spettatori ignari della vastità del mondo. Già nel primo Cinquecento, a Padova, Giulio Campagnola raffigura negli affreschi della Scuola del Santo un re indigeno, questo accade solo a dieci anni dalla scoperta dell’america da parte di Colombo. Questo episodio ce lo racconta molto bene il Prof. Lionello Puppi nel libro “Il re delle isole Fortunate e altre storie vere tra le «maraviglie dell’arte». Lo straniero però spesso era il pittore medesimo, invitato da regnanti o mecenati oppure costretto a lasciare la terra natia per trovare miglior fortuna. La genialità e la maestria annullava di fatto la reale appartenenza ad una nazione straniera.
Gli artisti “stranieri” costituivano talmente un punto di riferimento da modificare talvolta il modus operandi dei pittori locali. Di esempi ne esistono molti, per citarne solo alcuni si può pensare agli artisti fiamminghi che giunsero a Firenze nel 1500, oppure nella Russia del Seicento e del Settecento; la pittura tradizionale, così come gli artisti locali, venne quindi totalmente abbandonata a favore di una pittura occidentale. L’oggetto o l’abitante stesso di terre esotiche e lontane, diventarono presto oggetto di desiderio e riconoscimento che individuavano il proprietario non solo come un uomo colto e illuminato ma anche veramente ricco, molti capolavori ci ricordano questo: dalla superba tela di Antoon Van Dick che raffigura la “Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo” nel 1623, con il giovane servo di colore. Come anche il bellunese Andrea Brustolon, artista tra i maggiori interpreti del barocco veneziano le cui magnifiche opere lignee ed i suoi preziosi manufatti riproducono moretti o etiopi, ancora imprigionati da pensanti catene, in pose plastiche mentre sorreggono vasi o usati come decorazioni di mobilio. È sempre nel Settecento cominciarono i primi studi antropologici.
La curiosità verso lo straniero continuò nel secolo successivo quando l’oriente agli occhi di un europeo rappresentava l’evasione verso mondi esotici dove tutto era concesso, la moda e i dipinti ma più avanti anche la stessa letteratura, contribuivano ad accrescere queste fantasie. Come non ricordare opere quali La grande Odalisca 1814, L’odalisca e la schiava 1839 oppure il Bagno Turco del 1862 di Ingres. Ancora, dopo qualche anno Edouard Manet nel Ritratto di Emile Zola, testimonia la passione dello scrittore per l’oriente.
Ancora nell’arte contemporanea questo complicato tema trova vasto spazio con l’ausilio della fotografia, come nelle immagini di Gabriele Montavano, il quale attraverso l’obbiettivo sceglie quale soggetto principale non solo lo straniero di nazionalità, ma, come già accennavo precedentemente, anche persone che vivono a stretto contatto con lui, ma allo stesso tempo distanti ed estranee. Questo termine che ce lo rende sconosciuto ed inaccessibile; straniero. Persone parlanti una differente lingua dell’animo.
L’arte per questo, unisce popoli e culture in un linguaggio universalmente comprensibile, mirante a livellare differenze che altrimenti diventerebbero insopportabili.
Ognuno di noi, italiano o di un’altra nazionalità, davanti al genio e alla maestria di artisti si commuove alla medesima maniera; tutto questi ci rende spettatori di un’unica meraviglia e ci fa vivere un’unica e inaspettata gioia. Allora uniamoci in una danza sull’intero mondo come ci dimostra bene Matisse in uno dei suoi quadri più famosi.
Vielen Dank fur intiresnuyu iformatsiyu