Il denaro e la bellezzaLa mostra Denaro e Bellezza ospitata nello storico Palazzo Strozzi di Firenze
a cura di Valeria Nanni
Sono stati 5.000 i visitatori complessivi della mostra Denaro e Bellezza ospitata nello storico Palazzo Strozzi di Firenze.
Ogni opera esposta, dal fiorino d’oro al dipinto botticelliano La Calunnia, rappresentava la tappa di un lungo viaggio alla ricerca del potere fiorentino in Europa e verso la costituzione del mondo degli affari e del commercio modernamente inteso. Ad accompagnare il visitatore era in didascalia un dialogo tra i curatori Ludovica Sebregondi e Tim Parks.
E mentre ogni opera esposta si prepara ad essere imballata per raggiungere la sua originaria destinazione, in chi ha avuto il piacere di visitare la mostra è rimasto il forte legame, invisibile ma reale, tra bellezza e denaro capaci di generare arte. E poi ancora l’odore dei pigmenti del colore dei dipinti, la finitezza delle stoffe delle borse e la brillantezza dei metalli delle bilance, erano pronti a restituire il ruolo de I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità, così come il sottotitolo della mostra suggeriva.
“Non è una mostra su di un singolo artista – scrive James M. Bradburne, direttore di Palazzo Strozzi – è qualcosa anche di più interessante: una mostra sulla nascita in Toscana del moderno sistema bancario”. Oltre a Botticelli vi erano infatti artisti come Beato Angelico, Piero del Pollaiolo, i Della Robbia, Lorenzo di Credi, insomma l’élite del Rinascimento chiamata a porre le riflessioni commerciali, ma anche morali. Per esempio se tutto possa essere monetizzato, dunque scambiato, e reso commerciabile. Dove per tutto è da intendere anche la preghiera. Non facile la risposta. Chiara è la tensione tra il valore monetario e quello spirituale. Fatto sta che per esaltare il valore delle preghiere le famiglie nobili commissionavano opere d’arte a soggetto ecclesiastico e, a dirla tutta, anche per timore per la propria anima a causa dei guadagni illeciti.
E intanto le curiosità saltano fuori numerose, tra cui la data della prima denuncia dei redditi compiuta dai fiorentini, risalente al 1427. Invece in relazione al denaro la parola “spicciolo”, con la quale oggigiorno si indica una moneta di scarso valore, deriva da “picciolo” una moneta fiorentina del valore di un quarto di Quattrino. Se si vuole ricercare poi la nascita della banconota di carta essa non può che essere in tempi relativamente recenti, ad inizio ‘500, e si presenterebbe come l’evoluzione delle strisce di carta su cui si scrivevano “promesse” di soldi. E poi ancora una curiosità di costume spiega il perché le nobildonne non portavano borse, se non di dimensioni piccolissime, tali da contenere un solo fazzoletto di seta. Dovevano essere distinte da quelle capienti usate dai mercanti e contenenti denaro, oggetto tanto prezioso quanto ambiguo, e dunque non “di classe”.
Non può che derivare il tema dell’usura strettamente connesso all’attività dei banchieri, spesso in viaggio come mercanti per scambiare denaro. Motivo per il quel queste due figure nell’Umanesimo non erano ben distinte. L’usura è, oggi come allora, una pratica finanziaria proibita dalla Chiesa perché basata sulla riscossione di interesse
sul denaro in altro denaro, non trasformandolo in beni concreti per la collettività. Infatti la figura dell’usuraio era spesso associata a quella dell’avaro. Per mettere a disagio i facoltosi cittadini fiorentini intorno al 1345 Orcagna affrescò la Punizione degli avari, dove appunto ricchi laici e religiosi, come vescovi e cardinali, senza distinzione, sono frustrati nell’aldilà con borse di denaro. Anche il clero infatti aveva importanti depositi nelle banche fiorentine (oggi l’affresco staccato, che era in mostra, è conservato nel Museo dell’Opera di Santa Croce).
L’avidità di denaro porta all’avarizia e alla pratica dell’usura a danno della collettività. Un concetto ampiamente espresso dall’abile mano fiamminga che ha dipinto Gli usurai intorno alla data del 1540. Qui la coppia di uomini presenta i tratti del viso e delle vesti deformate dai loro egoistici sentimenti nascosti, pur con le definizioni dei particolari proprie del gusto del tempo e di quelle particolari zone europee.
Contro l’usura si mossero i francescani che nel 1462 a crearono la Fondazione Monti di pietà e l’arte del cambio. Il segreto per fare soldi è da una parte il tempo e dall’altra il viaggio. Due fattori che insieme costituirono la soluzione per aggirare il peccato di usura. Per quanto riguarda il tempo il futuro si sa è incerto, ma la domanda di un prodotto può essere prevedibile. In relazione al viaggio ecco che per produrre denaro i mercanti di Firenze sfruttavano la distanza. Per incrementare il mercato dei tessitori si fornivano di lana pregiata proveniente dall’Inghilterra. Le navi con balle di lana sostavano nel porto di Livorno da cui poi dovevano essere trasportate all’acquirente finale. Ecco che il prodotto poteva essere venduto con un margine di profitto, guadagnando. Era la nascita della filiera commerciale e dell’economia ad essa collegata. Testimonianza delle rotte commerciali sono le carte nautiche scelte per la mostra. Venezia le produceva per i mercanti, erano in pergamena vergata ad inchiostro e acquerellata. Insomma il tempo è denaro e dopo il Rinascimento i banchieri impararono a fare soldi con i contratti a termine.
In questo mondo, dove era importante far girare moneta, ricavare profitto, ma non cadendo in pratiche immorali, oltre a fiorire l’arte, testimonianza visibile delle origini del mondo moderno sulle basi dell’antico, fioriva la scienza bancaria e la matematica. Il padre della contabilità può essere considerato Luca Pacioli, matematico di fine ‘400 che fu tra i primi a pubblicare un libro sull’argomento. L’attività bancaria richiedeva dimestichezza infatti con la matematica. E fu così che il mestiere del banchiere acquisisce rispetto oltre che prestigio. A rispetto delle moderna deontologia professionale, ciascun direttore di filiale, possedeva un registro con i più facoltosi clienti da tutelare. Esso veniva infatti custodito in un luogo segreto e in una scatola metallica con lucchetto (tra gli oggetti in mostra).
Ed è in questo clima che nascono gli estremismi, da una parte le calunnie tra mercanti e dall’altra il rogo delle vanità voluto dal predicatore integralista Savonarola, per il quale i fiorentini consegnarono i loro gioielli, specchi e opere d’arte, giudicate “cose vane” e dunque da bruciare.
A testimoniare questo mondo moderno tra gioie e dolori, antico e moderno, fede e laicità è il quadro La calunnia di Apelle dipinta da Sandro Botticelli. La tempera su tavola è conservata alla Galleria degli Uffizi di Firenze, e inscena un’allegoria. Entro una monumentale loggia aperta su una lontana veduta di cielo e mare si distinguono al centro 4 personaggi. Calunnia guidata da Invidia e aiutata da Tradimento e Inganno, trascina un innocente davanti al giudice consigliato a sua volta da Ignoranza e Sospetto. All’estrema sinistra la nuda Verità con lo sguardo e il braccio verso il cielo e al suo fianco Rimorso che la guarda indicando l’innocente. E non a caso le decorazioni architettoniche sfavillano d’oro, colore del Denaro, che eppure può creare così tanta Bellezza.
Non è un caso se il dipinto botticelliano, fortemente influenzato dalle prediche del Savonarola, chiude Denaro e Bellezza, una mostra che lascia aperto l’interrogativo su cosa sia in realtà il denaro.
Tutti ne parliamo, tutti lo usiamo, in moneta e in carta, ma sempre più spesso ormai in “virtuale”. E’ legato all’idea del benessere, ma anche di profonde crisi e sconvolgimenti economici, come quella del nostro più immediato presente. Eppure non è il denaro a compiere azioni, in sé è non potrebbe fare nulla. Non è l’autore e non può essere considerato un oggetto. Esso è solo un mezzo attraverso cui scambiamo oggetti e operato con un valore. Non può appartenergli né il positivo né il negativo. Ma il suo forte potere attrattivo dipende proprio dal valore che baratta con un nulla che si chiama potere. E il potere a sua volte richiama altra attrazione, in un circolo di azioni che prendono il corso delle intelligenze al timone.
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