Le porte dell’oblio

Le porte dell’oblio

a cura di Federico Scurto

Klimt

Consiglio a chi dovesse, per un qualunque motivo, aspettarsi la solita critica con le solite motivazioni di interrompere la lettura; semmai qualcuno pensasse che l’arte debba essere morale, a lui consiglio di non proseguire. I tempi, purtroppo, ce lo impongono: non c’è scopo etico nella società globale in cui viviamo e la rabbia è un sentimento che si impadronisce dei nostri cuori. Orde di pura pazzia completamente svuotate di valori. E’ l’era dei dannati, è il caos idiomatico della più sfrenata superficialità. Con il rischio di navigare contro corrente mi piacerebbe tornare a celebrare il bello anche se nessuno sa, né ha mai saputo esattamente cosa possa essere: chi può dire se il bello sia un’immagine candita o una bestemmia disumana? Esso è, sicuramente, uno stato come l’innamoramento, qualcosa che si avverte in tutto il suo impeto pur sfuggendo ai sensi nei contorni ma non nella sostanza; ma è soprattutto del bello che appartiene alla poesia che nessuno parla quasi più. Forse per disinteresse, forse per la difficoltà che si può riscontrare nell’affrontare tale argomento. Maestri come Boudelaire e Mallarmé restituirono al dolce veleno delle parole il loro giusto valore in un’epoca obsoleta in cui le parole stesse furono usate come gli ingredienti sapientemente ricamati sulle pagine di libri di formule magiche: le formule della verità e della vita. Sicché il dandy, il vero eroe, un po’ guerriero stanco e un po’ angelo caduto, fu investito della capacità di salvare il mondo del suo tempo attraverso il verbo. Cari lettori, lasciate i saggi laici del nostro tempo il rovesciamento di questa assurda era. Mai come ora il Superuomo di Nietzsche è così lontano, mai come oggi l’uomo è il ghigno vergognoso di una scimmia. Che cos’è dunque la bellezza? Concetto non oggettivabile probabilmente, dato che, ci sono tanti tipi di bellezza quanti sono i modi abituali di cercare la felicità. Ecco allora, proprio come la felicità, la bellezza è uno stato contemplativo avvolgente: è una rivoluzione culturale quella del nuovo dandy, una rivoluzione che parte dal bello e dall’intelligenza, una rivoluzione senza bandiere che mette al bando l’omologazione e il conformismo dell’anticonformismo. Il bello, nel dandy, è soprattutto il male, l’indecente, è la vera natura dell’uomo spogliato delle sue bestialità intellettuali correlate ai propri deterrenti sociali, il dandismo è l’ultimo bagliore di eroismo nei tempi della decadenza: egli è il poeta maledetto, seppur vestito di una maledizione nuova e, come i vampiri, mescola amore e morte succhiando la linfa dalla verità della natura umana. È tempo di celebrare il male e la realtà irrazionale e dolorosa, come specchio in cui si possa vedere il riflesso del vero volto dell’umanità; quell’immagine in cui essa stessa è in grado di riconoscersi carne macera, cibo in scatola per i vermi con una data di scadenza. Potenziale straordinario e inconsapevolmente inespresso di bestie tecnologicamente avanzate prive di coscienza e fantasia. Le emozioni sono nel reale, così come nel nuovo concetto di arte che deve nascere, l’unico appiglio con la realtà. Sarà proprio questo il paradosso. Sentimenti immateriali ed inconsistenti come l’amore, il dolore, la gioia, il disgusto e l’orrido fanno sentire l’uomo più vivo che mai e sentirà egli stesso la verga del nuovo poeta cosicché la penna sarà più dolorosa di una frusta.
La parola nella poesia e la poesia con l’arte appaiono gli strumenti della mente del nuovo uomo nel nuovo millennio, ma parliamo oggi di un essere umano spogliato dei mezzi e dell’armatura ridotto ad un serpente strisciante il cui unico veleno resta solo la parola stessa: costui è il nuovo dandy. Poiché il vero dandy altro non fu e non tornerà ad essere che il solo guerriero pronto a scagliarsi contro dozzinali fette di borghesia ignorante e masse di proletariato ottuso. Fu e sarà un aristocratico di pensiero dalla parte dei deboli e degli emarginati affinché il filo rosso del pensiero umano non sia più tirato dal giogo di pochi ricchi o dalla massa massificata di una grossa porzione del cosiddetto popolo per poter uscire così in modo del tutto definitivo dalla manipolazione del consumo di arte.

L’umanità è ormai giunta al passaggio dalla finta luce di una serra, alla notte della realtà. Essa ride impavida della propria inerme ignoranza e cambierà pelle quando appena sorgerà il buio risalirà con esso tutto l’insano odore di una notte brava nell’oscura città. I viandanti hanno nuove direzioni, passioni torbide: sono i nuovi zombie in una valle di ubriachi e bottiglie rotte mentre di giorno furono i colletti bianchi del vecchio sole.

E’ così che stanno tramontando i tempi e nessuno se ne accorge tra l’indifferenza… L’indifferenza di chi leggerà queste parole e taccerà di follia, l’indifferenza di chi cambia canale nella scatola nera quando qualcosa lo turba, l’indifferenza di chi gira lo sguardo altrove, l’indifferenza di chi scarica le proprie responsabilità, l’indifferenza di chi tenta di chiudere il mondo fuori.

L’arte è ribellione al conformismo di una società che tende all’omologazione, l’ottuso giogo che porta alla chiusura della mente e uccide la fantasia, la particolarità, l’unicità. Il dandy, il poeta e l’artista in generale, promuovono la fecondità dell’unità come sintesi e connubio tra intuizione trascendente e immanente attraverso la manipolazione della materia trasformata in concetto ed impressa nel segno. L’arte è coincidenza arbitraria tra significato e significante, guida di uno spunto di riflessione, contemplazione, godimento e meditazione libera da condizionamenti gnoseologici che non portino al bello, soggettivata tuttavia da una esclusiva e personale interpretazione del fruitore. Essa è come una sostanza liquida scaturita da una sorgente luminosa, una sostanza con determinate e ben precise proprietà la cui forma è, tuttavia, la forma del suo contenitore: la sorgente è l’artista, il contenitore il fruitore stesso dell’opera.

La poesia, a mio avviso, è una delle massime e sempre innovative forme d’arte poiché contiene in sé gli accidenti delle forme artistiche più elevate: essa è uno dei migliori riflessi dell’uomo; in essa vi sono sentimento, intelletto e molecole ben strutturate che ne formano gli organi e nel loro complesso il corpo. In essa ritroviamo i sensi e la ricerca dell’Io pensante. Le effimere parole hanno una consistenza, metafisica, ma più reale di quanto si possa immaginare. In un modo come il nostro in cui le dimensioni immanenti altro non sono che il prodotto delle nostre percezioni, il verbo è più concreto che mai: così il mondo non esiste ed esiste solo la visione che abbiamo di esso e la cosa in sé è solo un’idea che usa, come le restanti cose del mondo, il linguaggio per essere traghettata da un cervello ad un altro fino alla conoscenza di ciò che ci si illude di poter comprendere. È qui l’ennesimo paradosso, l’antinomia, siamo noi stessi i creatori dei nostri misteri, oggetti costruiti, per questa ragione, con una forma tale da poter essere appena sfiorati soltanto dalle falangi della nostra mente; il mezzo per poter sfiorare questi misteri? La parola, il linguaggio, il codice di ricezione nato dall’uomo, quello stesso codice che ormai si è ribellato a lui stesso ed è divenuto organismo che vive di una vita propria. L’uomo ancora non se n’è accorto, l’uomo ancora non sa di essere divenuto il manichino spettatore impassibile e lobotomizzato dei media e dei diversivi lanciati dall’industria del divertimento. E’ attraverso l’oblio che si giunge a questa consapevolezza. Un deserto oscuro accompagnato dalle piogge acide dei mezzi di comunicazione di massa. E’ questo il male che uccide la bellezza del male artistico. Orde di poveri, prostitute, pazzi, ammalati, emarginati ed altri ancora stanno gridando, proprio in questo momento, ma nessuno li sente, nessuno li ascolta; è scomodo farlo, è più facile rifugiarsi dietro le pareti di cristallo che ognuno di noi si costruisce intorno. Eserciti di tormentati e deboli senza voce, un urlo silente. Si vedovo uomini morire a causa del lavoro e giovani senza futuro, si vede questo male che avanza come un’onda devastante. Si vede allora la necessità di accettare il lato oscuro dell’uomo e di combattere attraverso l’arte una società sbagliata per mettere così il sigillo alla formula magica dell’oblio. Siamo tutti arruolati nell’esercito dei nuovi dannati e sarà necessario abbandonare la banalità. L’arte dovrà essere così bestemmia e maldicenza della mente umana, l’insulto più offensivo nei confronti dell’uomo medio e mediocre. L’arte dovrà celebrare l’utile, l’intelligenza, il bello, il male, il brutto, i sentimenti e perché no, anche il futile come massimo godimento, ma soprattutto il lato oscuro della natura umana.

Questo secolo si è aperto con l’arte che non viene riconosciuta dai circoli in voga. Chi vorrà fare arte dovrà rifiutare e rigettare gli pseudo-intellettuali pomposi e commerciali della nostra era; essi sono già morti. Le loro voci saranno strozzate dall’arte vera, quella che nasce dal ventre di chi ha amato il passato e allo stesso tempo lo supera aprendo infine le porte all’oblio della natura umana. Aristocratico di pensiero non significherà più “poeta laureato” e nemmeno artista piegato alla critica che ricerca a tutti i costi una forma di anticonformismo finendo per divenire la massima tra le conformiste. E’ l’accanimento della critica nella ricerca esasperata dell’eccentrico ad essere divenuto la regola ma è ormai una regola che non porta più da nessuna parte.

angelopieroni

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