L’Inizio del Viaggio
a cura di Christian Ronga
Discutere di arte significa necessariamente porsi due domande: cosa sia l’“arte” e quale sia il legame che la lega agli uomini. Rispondere alla prima domanda significherebbe intraprendere un viaggio all’interno della storia, non solo dell’arte stessa, ma della filosofia, dell’estetica e persino dell’antropologia culturale. Un viaggio che, per il momento, non è il caso di affrontare, almeno non direttamente. Personalmente ritengo che la migliore definizione su cosa sia l’arte la troviamo nei Frammenti Postumi di Friederich Nietzsche: “L’arte è nient’altro che l’arte! Essa è la grande creatrice della possibilità di vivere, la grande seduttrice alla vita, il grande stimolante per vivere. L’arte come forza antagonista superiore, contro ogni volontà di rinnegare la vita, come l’elemento anticristiano, antibuddhistico antinichilisto per eccellenza”.
L’arte è semplicemente l’arte. L’assioma fondamentale del genere umano, il punto 0,0,0,0 da cui si espande l’Universo umano in tutte le direzioni, come un Big Bang emozionale che ha acceso una scintilla nel primo uomo che ha sentito la necessità di trasmettere le scene di caccia sulle pareti di una grotta, arrivata fino ai nostri giorni.
Essendo l’arte un elemento a sé stante, essa si pone tra i tanti mezzi a disposizione dell’Uomo per interpretare la realtà, forse fine ultimo dell’ Uomo in quanto tale. L’Arte non è un prodotto dell’Uomo, ma, anzi, forgiandone il carattere, la concezione di sé e del mondo circostante, il pensiero e l’azione, diventa la generatrice dell’Uomo. E qui arriviamo alla seconda domanda: “cosa lega l’arte agli uomini” la cui risposta, da un punto di vista, ripeto, strettamente personale, credo di avere già dato: l’arte è uno degli strumento che l’uomo possiede per cercare di dare una definizione e per cercare di comprendere l’Universo nella sua componente reale ed emotiva.
In questo senso, la suddivisione dell’ Arte in tematiche e “specializzazioni” (pittura, scultura, architettura etc. ) ha un senso? Assolutamente no. Al di là della sensibilità innata o acquisita che ognuno possiede, l’arte si manifesta, sorta di divinità pagana, in una epifania diversa ma mantenendo lo stesso scopo fondamentale: rivelare per rendere comprensibile l’Universo.
Da questa idea, o da questa consapevolezza, è nata la voglia di costruire un progetto che tentasse di mostrare come diverse tematiche sono o possono essere rivelate attraverso diverse forme artistiche mantenendo lo stesso animus nel suo senso etimologico più puro. Se poi questo procedimento riesce a permettere il fine ultimo dell’arte, ovvero di rendere comprensibile una porzione di Universo o di Reale, lascio che siate Voi che leggete a deciderlo.
Quindi non un semplice “aggregatore” di notizie o scritti artistici, di cui il web è già un ricco contenitore. Né tantomeno un singolo contenitore di una singola tematica. Lo scopo di questa pubblicazione è quello di trovare, di volta in volta, un concetto sentito come vicino da tutti e di analizzarlo attraverso le varie manifestazioni artistiche ed intellettuali (arte figurativa, letteratura, filosofia, cinema e non solo). Un progetto ambizioso, immenso, probabilmente impossibile, ma che vale la pena tentare, non per cercare di giungere ad una quale Verità che si riveli dalle pagine scritte (questo tipo di Verità è sempre pericolosa), ma perché ognuno di noi ha in sé quella “scintilla di rivelazione” di cui parla il Prof. Keating ne L’ Attimo Fuggente (Dead Poets Society, Peter Weir, 1989)
Passare da una citazione di Nietzsche ad una di un film commerciale di fine anni ’80; un assurdo? Assolutamente no, ma proprio il nucleo di questo progetto che sta nascendo. Non esiste forma di arte talmente bassa o “popolare” da non essere portavoce di una forma di spiegazione ed interpretazione del reale. Ad esempio, il concetto dell’impossibilità di definire il “se stesso” come pura entità autonoma e pensante indipendente dal contesto in cui si vive lo possiamo trovare tanto nelle opera letterarie di Pirandello (Uno, nessuno e centomila su tutti), sia nella filosofia di Bergson, sia in Fight Club (romanzo di Chuck Palahniuk, 1996 e film di David Fincher, 1999). E poi, dove è più facile trovare il senso del Reale e dell’Universo che ci circonda se non in quelle opere che maggiormente ci circondano? Arthur Rimbaud amava “ le pitture idiote, sovrapporte, sfondi, tele di saltimbanchi, insegne, miniature popolari ; la letteratura fuori moda, il latino di chiesa, libri erotici senza ortografia, i romanzi dei nostri avi, racconti di fate, piccoli libri dell’infanzia, opere vecchie, ritornelli ingenui, ritmi ingenui” (Une Saison en Enfer). Non faccio fatica a comprenderlo ogni volta che mi ritrovo a vedere un vecchio B-movie all’italiana oppure un horror di serie Z.
Inizialmente l’idea di legare gli articoli ad un concetto predefinito mi sembrava riduttivo, legante; un’azione che imbrigliava la mente invece che liberarla e portarla a creare. Ma alla prima prova, l’orizzonte in cui era possibile spaziare utilizzando un solo, singolo tema era pressoché sconfinato.
Nasce così il primo numero di Arts & Arts, con articoli relativi al concetto di Patria di cui tanto si è sentito e tanto si è parlato negli ultimi mesi, in occasione del 150° anniversario dell’ Unità d’Italia. Descrivere come questo sentimento, la sua validità quanto anche la critica ad esso, si snodi attraverso secoli di percorsi artistici, volendo considerare solo il “semplice” campo dell’arte figurativa, ha richiesto un lavoro certosino e l’ottimo articolo di Jlenia Selis ne è il risultato. Un percorrere quattro secoli di amor patrio o critica al concetto di patria e nazionalismo attraverso dipinti e fotografie, un lavoro tanto certosino quando appassionato, illuminante ed illuminato.
Come naturale contraltare all’ottimo articolo di Jlenia c’è l’altrettanto ottimo saggio di Vincenzo Notaro, dove il concetto di Patria, sviscerato in ogni sua espressione estetica e filosofica, ne esce distrutto, disintegrato, privo di qualsiasi valore. La lettura di entrambi questi articoli si presenta come una completa disanima di uno stesso concetto da due lati diametralmente opposti, visti attraverso due strumenti diversi. Il tutto convergente verso un unico obiettivo: trovare un significato al concetto di Patria.
Chiude il tutto il breve articolo di Amelia di Risio. Breve ed intenso. Fino a quel momento si era parlato solo di interpretazione del reale. L’articolo di Amelia ci catapulta nel reale vero e proprio, quello dei bambini di diversa nazionalità all’interno di un medesimo spazio sociale: la scuola.
Contiamo in seguito di aggiungere altre contributi, sia nostri che Vostri. E spero che “Voi” diventiate “Noi”. Questo spazio è aperto ai contributi, purché coerenti con il concetto portante del progetto stesso, di tutti. Ed in questo progetto, in questo sogno, vi aspettiamo non come spettatori ma come attori. Spettatori devono esserlo solo le nostre vite che per una volta possiamo cercare di interpretare, forse anche osservare, invece che limitarci a viverle.
Solitamente i ringraziamenti si fanno alla fine, ma questo momento è tanto una fine quanto un inizio. E’ la fine di un lungo lavoro preparatore, più lungo e faticoso, ma anche più gratificante, di quanto previsto. Ed è un inizio perché ora questo progetto, nato tra poche persone, si apre a Voi. Ma prima che questo accada, anche se spero accada il più velocemente possibile, Vi prego di lasciarmi dedicare qualche parola a chi ci ha creduto e ci ha accompagnato.
Ad Angelo Pieroni, conosciuto come docente presso un corso post lauream, diventato amico tra i più cari e compagno in tante sfide artistiche. A lui il merito di tutta la piattaforma tecnologica che sorregge questo progetto. Grazie a lui che ha condiviso con me questa idea e mi ha permesso di lavorarci. Angelo dimostra, continuamente, senza sosta, che la tecnologia non è fredda, cupa, calcolo razionale e giungla di switch e chip montati su schede madri. Ma calda compagna che può realizzare sogni altrimenti impossibili. Ad Angelo che sa che ogni luce che scorre tramite i cavi ed accende un led è un’idea che scorre attraverso la nostra rete neuronale ed accende un’idea, fa pulsare la nostra anima.
A Jlenia Selis, la cui passione per l’arte esplode in ogni parola: una passione profonda, dotta e viscerale. A lei che conosce non solo l’arte, ma come poterla spiegare a coloro i quali sono sprovvisti delle sue conoscenze, perché, come diceva Albert Einstein “Non hai veramente capito qualcosa fino a quando non sei in grado di spiegarlo a tua nonna” ed Jlenia dimostra di conoscere pienamente l’arte e le emozione che ne sono sottese.
Il suo articolo più che un saggio di storia dell’arte è una favola dove immagini accompagnano emozioni e le sue parole arrivano sempre dirette, chiare ed illuminanti. Spero vivamente che continuerà a far parte del Noi di questo progetto, così come spero che la sua amicizia sia sempre parte presente nella mia vita.
A Vincenzo Notaro, il bulldozer della filosofia, colui che sa distruggere e radere al suolo idee che sembravano assodate, scontate ed immutabili, a colui che sa che solo il caos può generare una stella danzante. E le sue parole danzano, non in maniera composta, ma in modo irruento, passionale e frenetico, finché ti rendi conto che quello che davi per certo, certo non era. A lui, compagno di mille serate e nottate passate tra whisky e Schopenhauer, tra birre e Nietzsche, tra pizze e musica dark-industrial va il mio affetto di sempre ed il mio grazie per il suo saggio.
A Amelia di Risio, di cui non mi è possibile parlare in maniera distaccata ed impersonale. La cui amicizia ha fatto la differenza nella mia vita, la cui intelligenza e capacità di analisi mi lascia ogni volta stupefatto come di fronte all’esplosione di una supernova. A colei che dimostra ogni giorno il valore delle migliaia di persone che, nella scuola pubblica, si dedicano anima e corpo a seguire una passione ed un sogno; aiutare gli altri a crescere, a vivere.
A presto amici, e che a Noi molti altri si uniscano in questo sogno. Perché “gran parte dei nostri sogni li viviamo con assai maggiore intensità della nostra esistenza da svegli” (H. Hesse).